Giornata della Memoria 2017 - Comune di Brisighella

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Giornata della Memoria 2017

 

 

Interessante rassegna di proiezioni organizzato dalla sezione A.N.P.I. di Brisighella e il Comitato Brisighella Bene Comune, in collaborazione con il Comune di Brisighella, in occasione della Giornata della Memoria.
presentazione dei film proiettati
"Una volta nella vita"
In Francia, paese notoriamente all'avanguardia, è stato istituito nel 1961, un anno a noi lontano ma vicinissimo alla fine della seconda guerra mondiale, il Concours national de la résistance et de la déportation, a cui ogni anno partecipano classi di studenti liceali e di scuole superiori. Nell'anno scolastico 2008/2009 il tema da affrontare nel lavoro collettivo era “I bambini e gli adolescenti nel sistema concentrazionario nazista” e a vincere il primo premio furono gli alunni di una turbolenta seconda del liceo multietnico di Creteil, guidati da un'illuminata professoressa di storia dell'arte ed educazione civica, Anne Anglés, che non vide in loro dei perdenti ma delle speranze per il futuro.
E' questa la storia raccontata nel film che racconta  Una volta nella vita, che in francese si intitolava, in modo forse più accurato, Les héritiérs, gli eredi. Perché è questo che sono i giovani, musulmani, ebrei o cattolici che siano: eredi della memoria, che nel film raccolgono e fanno proprio il giuramento dei prigionieri sopravvissuti nel campo di Buchenwald, pronunciato nell'aprile 1945, cioè l'impegno a testimoniare e a non permettere la cancellazione del ricordo di quello che è stato e che oggi, nonostante l'affiorare di nuove ideologie di morte, tendiamo troppo spesso a dimenticare, nonostante la sua enormità.
E' proprio uno dei protagonisti della vicenda, Ahmed Dramé (che nel film interpreta Malik), ad aver portato in giro la storia che aveva letteralmente cambiato la vita a lui e ai suoi compagni, in cerca di un regista in grado di capirla, finché è arrivato a Marie-Castille Mention-Schaar, di cui aveva apprezzato Ma première fois, che ha risposto all'appello sceneggiando con lui il film. Poi è entrata nel progetto Ariane Ascaride - attrice nota per aver interpretato diverse opere di Robert Guédiguian - perfetta nel ruolo dell'occhialuta professoressa Gueguen, poco appariscente ma determinata e illuminata e il film, girato nell'autentica location del liceo Léon Blum di Creteil, è arrivato sugli schermi francesi alla fine del 2014.
E' inevitabile pensare, vedendolo, che sarebbe stato interessante poter registrare in diretta, sotto forma di documentario, le lezioni, le liti, gli ostacoli e le scoperte di una classe difficile che si riscatta e tira fuori il meglio di sé, grazie all'empatia col dolore e con la tragica sorte di giovani come loro. Purtroppo così non è stato, ma il film ricostruisce comunque – con qualche licenza poetica - quanto davvero accaduto e ha momenti di altissima commozione, soprattutto quando a parlare alla classe con straordinaria forza, suscitando lacrime autentiche, è il sopravvissuto dei campi Léon Zyguel.
Dal punto di vista cinematografico la regia non è sempre all'altezza di una storia così umana e coinvolgente e gestisce in modo un po' frettoloso la trasformazione della peggior classe del liceo in un gruppo coeso ed affiatato, così come l'autorità e il carisma della professoressa - unica a sapersi fare rispettare e a motivare i ragazzi - non risultano sufficientemente dimostrati. Sono però interessanti anche quelle che sembrano note a margine della storia principale e che sono scorci realistici della vita di studenti in una scuola laica. A noi italiani farà strano vedere che l'ostentazione di simboli religiosi è vietata a tutti: a una ragazza viene chiesto di nascondere la croce che porta al collo sotto la maglia, mentre all'inizio c'è una lite tra una giovane musulmana (ormai diplomata) che si infuria col preside per il proprio diritto di indossare il velo. E sono ben rese anche le dinamiche intransigenti e a volte violente di ragazzi un po' sbandati, che crescono soli o non sufficientemente considerati.
Ma soprattutto il film - al di là della sua riuscita artistica - trasmette efficacemente il messaggio che la memoria è una ricchezza da tramandare e per la cui perpetuazione è necessario coinvolgere i giovani senza sottovalutarne l'intelligenza e la capacità di empatia, perché i bambini, i ragazzi e gli adulti sterminati ad Auschwitz non erano diversi da loro e da noi, e di fronte all'inalienabile diritto alla vita nulla significano la fede religiosa e l'appartenenza alle minoranze. Citando Primo Levi, i cui strazianti e fondamentali libri sulla Shoah vengono letti dai liceali francesi (e si spera anche da quelli italiani), “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. E dimenticare, aggiungeremmo, non è mai un'opzione praticabile.
"L'Onda"
Reiner (il bravo Jürgen Vogel) è un insegnante punkettone di un liceo tedesco. Quando un antipatico collega gli soffia il corso tematico sull’anarchia che avrebbe voluto tenere, è costretto a ripiegare sul tema "autocrazia". I suoi studenti – già di per loro non particolarmente motivati – non capiscono perché approfondire la questione, giacché secondo loro una dittatura in Germania, oggi,  non sarebbe di certo più possibile. Reiner decide allora di sfidare i ragazzi, contribuendo a far sì che la classe sviluppi una sorta di totalitarismo di cui lui è leader e loro i membri. Inizialmente la disciplina, l’uniforme comune e tutto il resto contribuiscono ad abbattere le barriere tra gli eterogenei gruppi di studenti che frequentano il corso. Ma da dal positivo annesso al senso di appartenenza a a farli sentire membri di una elite che esclude e discrimina chi non è del loro gruppo (chiamato come l’onda del titolo) il passo è breve. E presto, in soli sette giorni, Reiner si trova a dover fronteggiare un fascismo nemmeno troppo strisciante che avrà tragiche conseguenze.
Tratto da un romanzo di Todd Strasser molto popolare in Germania, a sua volta basato su un fatto di cronaca avvenuto negli anni Sessanta in California, quello diretto da Dennis Gansel è un film tedesco anomalo, per stile e declinazione, meno monolitico di quel che appaia. Specie in tempi di crisi come quelli che tutto il mondo si trova a vivere, poi, mostrare quanto sia facile (e veloce) che i più deboli e insicuri trovino forza e rassicurazione in una qualsivoglia idea di appartenenza, e di come questo si possa rapidamente tramutare a sua volta nella nascita di una cultura dalle chiare tendenze autocratiche e totalitariste, non è un concetto così antiquato e peregrino. Grazie all'azzecata cifra stilistica improntata ad un dinamismo giovanilistico sempre piuttosto contenuto e sobrio, e ad un cast di giovani interpreti di buon valore, L'onda è capace di un'efficacia che in alcuni punti si avvicina quasi ad una (relativa) potenza nelle descrizioni delle evoluzioni psicologiche dei singoli e della collettività.
A voler essere spocchiosi, si potrebbe obiettare che i limiti del film di Gansel stiano nel suo assunto chiaramente pedagogico ed in una certa didascalicità dello svolgimento: ma, paradossalmente, senza queste caratteristiche, proprie della parabola a fini educativi quale è, L'Onda non avrebbe avuto poi tanto senso.
"Francofonia"
Jacques Jaujard era il conservatore in carica nel momento in cui la Francia fu occupata dai nazisti. Il conte Franziskus Wolff-Metternich era invece l'uomo mandato da Berlino per ispezionare l'inestimabile patrimonio artistico del museo parigino e trasferirne in Germania una parte. I due erano molto diversi, un funzionario e un aristocratico, e molto nemici, ma collaboreranno per preservare i tesori dell'arte e ciò che rappresentano. Sono loro a cui pensa Sokurov, nel realizzare un film sul Louvre, ma anche a Napoleone e alla Marianne, fuoriusciti dai dipinti, all'Hermitage e all'assedio di Leningrado, e a un mercantile che viaggia nella tempesta, come una moderna arca, con un carico di quadri che rischiano di finire per sempre in fondo all'Oceano. Sokurov va oltre l'idea del museo come contenitore per preservare l'arte e ne canta in questa elegia la natura di ritratto di una nazione e di un continente, codice genetico identitario.
Ci sono momenti di Francofonia in cui pare di trovarsi dentro un'histoire di Godard, per il tono assertivo delle affermazioni politiche, la gravità e l'ironia, per la combinazione dei materiali visivi e lo sconfinamento di quelli sonori. L'incedere di Sokurov attraverso il Louvre è lontano da quello dell'Arca russa e, in generale, il film che ne esce è molto diverso, meno coerente nel progetto estetico, più variamente stratificato e assemblato, così come i materiali che lo compongono, dalle foto d'epoca alle conversazioni via computer col capitano del mercantile, dalle ricostruzioni forzate, al teatro, al repertorio. A questa dimensione grafica di pastiche, si associano i rimbalzi temporali, il presente delle riprese e il passato prossimo dei confitti mondiali, il passato remoto della scultura giordana di nove mila anni fa (un salto di pochi istanti che lascia storditi e smossi) e il presente della proiezione, cui è impossibile non pensare, con il mare a teatro di perdite immani e la distruzione mirata della storia antica del Medio Oriente, del tesoro della sua identità culturale, appunto. "Uno stato ha bisogno di un museo per esistere", dice il film, mentre sedicenti stati costruiscono la loro esistenza sullo smantellamento del museo di un mondo. Ma Sokurov mescola il tempo anche all'interno del girato stesso, inventando un duo di operatori alla Lumière nella Parigi occupata, dove passano turisti con abiti di oggi.
All'incontro tra Jaujard e Wolff-Metternich si affianca quello del cineasta e dello storico che si fanno, per l'occasione, una persona sola. Sokurov si mette sulle tracce di Jaujard e Metternich proprio come uno storico dell'arte si mette sulle tracce dei personaggi di un quadro, entra nelle loro vite, nelle loro case. All'inizio del suo viaggio annovera tra i caratteri fondanti dell'identità europea la tradizione del ritratto, quel perpetrare la vita attraverso la raffigurazione del volto, che il primo piano cinematografico ha portato all'estremo. E allora non poteva mancare la Gioconda, presa a oggetto di un'efficace variazione dell'effetto Kulesov: alla sua leggendaria enigmaticità si può associare qualsiasi monologo, tanto quello rivoluzionario di fine '700 quanto quello egocentrico e assolutista di Bonaparte. Il tempo dell'arte non è quello dell'uomo, va oltre: fu questa consapevolezza ad accomunare Jaujard e Metternich. Ma la straordinaria vicenda della conservazione dei tesori del Louvre, nascosti nei castelli e scampati alla razzìa nazista, serve anche a Sokurov per suonare un requiem a ciò che è invece andato perso per sempre, nella sua Russia e nel resto dell'Europa orientale.
Intrinsecamente discontinuo, Francofonia offre momenti altissimi e altri in cui non è difficile distrarsi e finire con la mente al largo, certi di venire comunque presto recuperati dall'interesse del discorso e dalla bellezza delle immagini